Giustizia a due velocità? La forbice tra condanne per violenza e “certificati di vittima” solleva dubbi e preoccupazioni

Giustizia a due velocità? La forbice tra condanne per violenza e “certificati di vittima” solleva dubbi e preoccupazioni

Il sistema di tutela delle donne vittime di violenza mostra una preoccupante crepa, una discrepanza tra numeri e realtà giudiziaria che merita un’attenta analisi. Da un lato, i dati relativi ai certificati di vittima rilasciati dai Centri Antiviolenza (CAV) disegnano un quadro allarmante, con migliaia di donne che ogni anno si rivolgono a queste strutture per denunciare abusi e maltrattamenti (i CAV dichiarano 26000 donne in uscita dalla violenza). Dall’altro lato, le sentenze di condanna emesse dai tribunali per reati di violenza di genere raccontano una storia diversa, con numeri significativamente inferiori. (7000 circa – vedi articolo precedente)

Questa forbice, che vede un numero di “certificati di vittima” di gran lunga superiore alle condanne, solleva diverse perplessità e apre interrogativi sulla reale portata del fenomeno e sulla sua gestione da parte delle istituzioni.

Va premesso che non tutte le denunce (tra le 26.000 sono circa 10.000) si traducono in una condanna definitiva. La complessità delle dinamiche familiari, la difficoltà di raccogliere prove inconfutabili e la lunga durata dei processi possono influire sull’esito finale di un procedimento giudiziario.

Tuttavia, la discrepanza numerica tra certificati e sentenze, soprattutto se confrontata con l’ampio ventaglio di benefici economici e sociali previsti per le donne che ottengono il “riconoscimento di vittima” dall’ente del terzo settore (????), alimenta il sospetto che qualcosa non stia funzionando come dovrebbe.

Mentre i giudici, chiamati ad applicare la legge e a valutare le prove presentate dalle parti in modo imparziale e rigoroso, emettono un numero relativamente basso di condanne, i CAV, pur svolgendo un ruolo fondamentale nell’accoglienza e nel sostegno alle donne, rilasciano certificati di vittima sulla base di valutazioni che non sempre trovano riscontro nelle aule di tribunale.

Questa situazione, oltre a generare un dispendio di risorse pubbliche non sempre giustificato, rischia di minare la credibilità delle donne che denunciano realmente violenze e di alimentare un clima di sospetto generalizzato, mettendo in secondo piano il dramma di chi subisce abusi e maltrattamenti.

È urgente avviare una riflessione seria e approfondita su questo tema, al fine di garantire un sistema di tutela più equo ed efficace, che sappia distinguere le reali situazioni di violenza dalle strumentalizzazioni e che tuteli i diritti di tutte le parti coinvolte, nel rispetto della legge e della giustizia.