Centri Antiviolenza: 3.000 “vittime” senza condanna, allarme costi e abusi

Centri Antiviolenza: 3.000 “vittime” senza condanna, allarme costi e abusi

Roma, 2 Giugno 2024 – Un dato allarmante emerge dall’analisi dei procedimenti per violenza di genere: circa 3.000 donne, pur non vedendo riconosciuta la propria versione dei fatti in sede giudiziaria, continueranno ad essere considerate vittime e a beneficiare di aiuti e tutele. Lo rivelano fonti incrociate [Centri Antiviolenza e ISTAT] che mettono in luce una discrepanza significativa tra il numero di condanne e quello di donne che, a seguito di segnalazione ai Centri Antiviolenza (CAV), ottengono il riconoscimento di “vittima” e accedono ad un percorso di assistenza. Nel 2023 le condanne per i reati sono state circa 7.000 mentre sono 26.000 le donne prese in carico ufficialmente dai centri antiviolenza.

Questa situazione, seppur pensata per tutelare le donne in difficoltà, solleva non poche perplessità. Da un lato, la legge prevede misure di sostegno economico, assistenza legale a spese dello stato e percorsi di protezione per chi ottiene la certificazione dal CAV e in alcuni casi il rinvio a giudizio. Dall’altro lato, l’assenza di una condanna definitiva da parte di un giudice, unica autorità preposta a valutare le prove e ad emettere un verdetto, getta un’ombra di ambiguità su queste situazioni.

Difatto ci troviamo di fronte ad un cortocircuito del sistema. Se è fondamentale garantire un supporto immediato alle donne che denunciano violenze, non possiamo ignorare il rischio di abusi e strumentalizzazioni. Il fatto che migliaia di donne, pur non vedendo riconosciuta la propria versione dei fatti in tribunale, continuino ad essere considerate vittime a tutti gli effetti, solleva seri interrogativi sull’impatto di questa discrepanza sia sul piano economico che su quello sociale.

Una situazione paradossale che ricorda un po’ la pesca a strascico o con le bombe (certamente non a norma di legge). Il rischio è che si crei un sistema di tutela a due velocità, dove la parola della donna, pur fondamentale, prevale su ogni altra valutazione, anche in assenza di prove concrete.

La questione assume contorni ancora più delicati, direi horror, se si considera che queste donne, avendo ottenuto il riconoscimento di “vittima” da un CAV, si trovano spesso in una posizione di dipendenza sia nei confronti del centro stesso, che con la certificazione attiva il volano economico, che del legale, pagato dallo Stato per assisterle, e si sa… più dura il processo più soldi la comunità deve dare all’avvocato. Una condizione che, in alcuni casi, potrebbe rendere difficile per la donna stessa mettere in discussione la linea del Centro Antiviolenza o del proprio avvocato, anche quando inizia a nutrire dubbi sulla fondatezza della propria querela. Si è sentito parlare di Luna di Miele ma qui il miele mi sa che sono le tariffe che hanno poco a che fare con quelle 3.000 (almeno) donne che non saranno giudicate vittime di reato da un giudice.

È necessario un intervento urgente per fare chiarezza e garantire un sistema più equo ed efficace. Occorre tutelare le donne che subiscono violenza, ma anche garantire il diritto alla difesa ed evitare che uomini innocenti e minori vengano ingiustamente penalizzati da accuse infondate. L’auspicio è che si apra al più presto un dibattito serio e costruttivo, che coinvolga istituzioni, esperti e associazioni, per garantire un sistema di tutela realmente efficace, che protegga le vere vittime senza penalizzare gli innocenti.